CELESTINO, BENEDETTO E LA CHIESA
Davanti ai Cardinali Benedetto XVI, dopo aver parlato delle sue forze che «per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero patrino» ha dato l’annuncio che ha scosso la Chiesa e il mondo: «Ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di S. Pietro».
Molti hanno ripensato a Celestino V, che il 13 dicembre 1294 rinunciò al ministero di Vescovo di Roma.
Il monaco inglese Bartholomew de Cotton, così descrive la rinuncia dell’Eremita diventato Papa: «Celestino estrasse quindi dal manto l’atto di rinunzia e lo lesse. Infine scese dalla cattedra e depose a terra la tiara, e poi il manto e l’anello. Dopo essersi ritirato da solo nella sua cella e aver indossato il saio grigio della sua congregazione, Pietro rientrò in concistoro e si accovacciò a terra, sull’ultimo gradino della cattedra. Ai Cardinali chiese, tra le lacrime, che non perdessero tempo, e che scegliessero un uomo buono, utile alla Chiesa, alla cristianità e alla Terra Santa. I porporati, intanto, stupefatti ed emozionati, gridavano ad alta voce e piangevano».
Nel gesto di Celestino c’è quasi una sacra teatralità, in quello di Ratzinger, invece un’incredibile sobrietà e tutto è ridotto all’essenziale, come abbiamo potuto vedere tutti nelle immagini della televisione: ha letto il testo della rinuncia in latino, davanti ai Cardinali, senza tradire, apparentemente, la minima emozione.
Ma c’è un fortissimo elemento comune: la ricerca del bene supremo della Chiesa e, in fondo, della santità.
George Bernanos ha scritto: «Per essere santo quale Vescovo non darebbe l’anello, la mitra, il pastorale, quale Cardinale la porpora, quale Pontefice la veste bianca, i camerieri, gli svizzeri e tutto quanto il potere temporale? Chi non avrebbe la forza di compiere questa meravigliosa avventura?».
Ecco, Joseph Ratzinger ha dato la veste bianca in cambio della santità.
Chi ha accusato San Celestino di fuggire dinanzi al peso del Sommo Pontificato non hanno capito nulla del suo segreto più profondo. Così chiunque osasse dare un giudizio simile su Benedetto XVI dimostrerebbe di non aver capito niente di questo Papa dotto, ma umile; forte, ma dolce; tenerissimo ma tenace e inflessibile nel seguire la sua coscienza e la volontà di Dio.
Giuseppe Molinari
Arcivescovo Metropolita de L’Aquila
Molti hanno ripensato a Celestino V, che il 13 dicembre 1294 rinunciò al ministero di Vescovo di Roma.
Il monaco inglese Bartholomew de Cotton, così descrive la rinuncia dell’Eremita diventato Papa: «Celestino estrasse quindi dal manto l’atto di rinunzia e lo lesse. Infine scese dalla cattedra e depose a terra la tiara, e poi il manto e l’anello. Dopo essersi ritirato da solo nella sua cella e aver indossato il saio grigio della sua congregazione, Pietro rientrò in concistoro e si accovacciò a terra, sull’ultimo gradino della cattedra. Ai Cardinali chiese, tra le lacrime, che non perdessero tempo, e che scegliessero un uomo buono, utile alla Chiesa, alla cristianità e alla Terra Santa. I porporati, intanto, stupefatti ed emozionati, gridavano ad alta voce e piangevano».
Nel gesto di Celestino c’è quasi una sacra teatralità, in quello di Ratzinger, invece un’incredibile sobrietà e tutto è ridotto all’essenziale, come abbiamo potuto vedere tutti nelle immagini della televisione: ha letto il testo della rinuncia in latino, davanti ai Cardinali, senza tradire, apparentemente, la minima emozione.
Ma c’è un fortissimo elemento comune: la ricerca del bene supremo della Chiesa e, in fondo, della santità.
George Bernanos ha scritto: «Per essere santo quale Vescovo non darebbe l’anello, la mitra, il pastorale, quale Cardinale la porpora, quale Pontefice la veste bianca, i camerieri, gli svizzeri e tutto quanto il potere temporale? Chi non avrebbe la forza di compiere questa meravigliosa avventura?».
Ecco, Joseph Ratzinger ha dato la veste bianca in cambio della santità.
Chi ha accusato San Celestino di fuggire dinanzi al peso del Sommo Pontificato non hanno capito nulla del suo segreto più profondo. Così chiunque osasse dare un giudizio simile su Benedetto XVI dimostrerebbe di non aver capito niente di questo Papa dotto, ma umile; forte, ma dolce; tenerissimo ma tenace e inflessibile nel seguire la sua coscienza e la volontà di Dio.
Giuseppe Molinari
Arcivescovo Metropolita de L’Aquila
Testo tratto dalla rivista ‘Panorama’