L’omelia di mons. Giuseppe Molinari pronunciata nella Messa di ringraziamento.

Lo scorso 30 giugno a Collemaggio.

Un caro saluto, colmo di immensa riconoscenza, a tutti.

A S.E. Mons. Giovanni D’Ercole, mio Vescovo Ausiliare.
Ai Canonici del Capitolo Metropolitano,
ai Sacerdoti, ai diaconi;
ai Religiosi e alle Religiose;
alle varie aggregazioni laicali, alle confraternite, e a tutto il popolo di Dio, presente qui, questa sera nella nostra sempre affascinante Basilica di S. Maria di Collemaggio.
Un saluto affettuoso a tutte le nostre Autorità, civili e militari, con le quali ho cercato di avere sempre un rapporto di sincera stima e di grande e costruttiva collaborazione. Sia a Rieti che a L’Aquila il Signore mi ha dato la gioia di incontrare sempre Autorità seriamente e fattivamente impegnate nella ricerca del bene del nostro popolo e con le quali si è sempre stabilito un rapporto di grande amicizia. Non dimentico qui anche i responsabili dei vari Enti e delle varie Istituzioni della società civile. Anche a loro va il mio grazie più sincero.
Oltre che il saluto un grazie immenso anche a tutti i sacerdoti che in questi anni hanno collaborato con me.
Penso innanzitutto ai Vicari Generali che si sono susseguiti in questi quindici anni del mio servizio pastorale all’Aquila: un ricordo particolarissimo al compianto Mons. Demetrio Gianfrancesco, collaboratore saggio e sapiente, a Mons. Alfredo Cantalini e, oggi, a S.E. Mons. D’Ercole; ai Vicari Episcopali, ai Vicari Foranei e a tutti gli altri sacerdoti responsabili dei vari settori della Pastorale Diocesana.
Un grazie a tutti coloro, sacerdoti e laici, che hanno dato generosamente la loro opera, per l’organizzazione e il buon funzionamento della nostra Curia Arcivescovile.
Un grazie a tutti coloro che hanno generosamente dato la loro opera per il nostro Istituto Superiore di Scienze Religiose.
Un grazie ai responsabili e ai volontari della Caritas Diocesana.
Un grazie a tutti i Parroci, i loro collaboratori e ai laici, uomini e donne, veramente stupendi, che aiutano le varie comunità. Un grazie al mio segretario don Alessandro, ai laici e alle religiose che mi hanno aiutato nel nostro Arcivescovado.
Un grazie all’Università Cattolica del Sacro Cuore, che subito dopo il sisma, ha regalato a me e all’Arcidiocesi (tramite l’allora Direttore Generale il Dr. Antonio Cicchetti) la struttura che è diventata, in questi quattro anni, la casa nella quale ho vissuto, in mezzo al popolo aquilano, e dove ho ricevuto tutti, sacerdoti, autorità, fratelli e sorelle dell’Aquila e di ogni parte dell’Abruzzo e dell’Italia intera (e anche di fuori d’Italia).
Una struttura che diventerà ora la casa del nuovo Arcivescovo, in attesa che venga ricostruito l’antico Palazzo Arcivescovile di Piazza Duomo (speriamo presto, insieme a tutta la nostra città…).
 
2.      C’è una pagina della Sacra Scrittura che, in questi ultimi mesi, mi è tornata spesso alla mente.
E’ il racconto, che troviamo nel Libro del Deuteronomio, degli ultimi giorni della vita di Mosè: «In quello stesso giorno il Signore disse a Mosè: “Sali su questo monte degli Abarim, sul Monte Nebo, di fronte a Gerico, e mira il paese di Canaan, che io do in possesso agli Israeliti. Tu morirai sul monte sul quale stai per salire e sarai unito ai tuoi antenati, come Aronne tuo fratello, che è morto sul Monte Hor ed è stato riunito ai suoi antenati, perché siete stati infedeli verso di me in mezzo agli Israeliti, alle acque di Meriba e di Cades, nel deserto di Sin perché non avete manifestato la mia santità. Tu vedrai il paese davanti a te, ma là, nel paese che io sto per dare agli Israeliti, tu non entrerai”» (Dt. 32,48-52).
Io non sono Mosè. E il termine del mio servizio episcopale, non è una punizione divina. E’ il concludersi normale (secondo le leggi della Chiesa) di una stagione ricolma di tante benedizioni e grazie del Signore e di una stupenda storia di incontri con fratelli e sorelle di tutte le età e di tutte le condizioni, ai quali ho cercato di insegnare la via del cielo e di donare l’unica ricchezza che possedevo: il mio affetto sincero, intenso e perenne.
Ma la storia di Mosè mi affascina molto. C’è un uomo, un grande uomo, un grande Profeta e un grande Pastore, scelto da Dio per una missione eccezionale: guidare il popolo d’Israele verso la Terra della libertà.
E quest’uomo, dopo tante lotte e incredibili sacrifici, proprio mentre sta realizzando il suo progetto (che era lo stesso progetto affidatogli da Dio!) viene privato della gioia di calpestare il suolo di quella “Terra”, che è stata il sogno e la passione di tutta la sua esistenza!
 
3.      Forse la storia di Mosè è la storia di ognuno di noi.
Chi, guardando alla sua vita, (non mi rivolgo ai più giovani… Per loro c’è ancora una storia meravigliosa tutta da scrivere!), alla missione, che Gesù gli aveva affidata, può dirsi realmente contento di aver realizzato pienamente ciò che gli era stato chiesto?
Tutti dobbiamo accettare di contemplare, come Mosè, la meta dei nostri sogni, consapevoli che è rimasta tanto lontana. Come quando si contemplano opere d’arte incompiute, ma sempre opere d’arte.
Perché la vita è bella! Rimane sempre il più grande dono di Dio. E anche la nostra vocazione è affascinante. Anche se ci sono tanti tratti incompiuti, tante ombre, che rischiano di occultarne la bellezza.
Io, oggi, davanti a voi carissimi fratelli e sorelle, e insieme con voi ringrazio ancora una volta il Signore per il dono della vita, il dono della fede, il dono della vocazione, il dono del sacerdozio e della pienezza del sacerdozio quale è il ministero del vescovo!
Il Signore sa quali e quante sono state le mie mancanze, i miei limiti e… anche i miei tradimenti!
Ma, malgrado i miei peccati, rimane una grande stupenda verità: tutto quello che il Signore mi ha donato è stupendamente bello. Come dicono i santi: non ci basterà tutta l’eternità per dire il nostro grazie al Signore.
Distogliendo lo sguardo dalla mia piccola persona e contemplando sempre la vita di Mosè, subito verrei sottolineare una fondamentale verità: Mosè ha avuto un ruolo importantissimo nella storia del suo popolo e nella storia della Salvezza. Ma questa storia è grande e meravigliosa e supera la vicenda personale del grande Mosè.
Così sento che è anche per la mia piccolissima storia: il Signore mi ha chiamato a guidare per circa quindici anni questa amata Chiesa dell’Aquila. Ma sarebbe assurdo e ridicolo concentrarsi sulla mia poverissima persona: occorre saper vedere, invece, con gli occhi della fede, una storia di Chiesa e di questo meraviglioso Popolo di Dio, che continua ora anche con il nuovo Pastore, per il quale pregheremo tanto anche questa sera.
 Ma voglio ancora una volta, nello spirito del Magnificat e del rendimento di grazie al Signore, raccontare qualche frammento della mia piccola vita, insignificante agli occhi degli uomini, ma preziosissima, come la vita di ognuno di voi, agli occhi di Dio.
 
4.      E vorrei ricordare gli inizi della mia piccolissima storia, richiamando un’altra bellissima pagina della Bibbia: la vocazione del Profeta Amos, un Profeta che mi ha sempre profondamente affascinato.
Amos era un povero pastore, esperto di campi e di animali. E si ritrova a fare il profeta. E porta avanti la sua missione profetica con un certa rudezza, con una specie di santa violenza. E, comunque, sempre con grande vigore. Mai con sentimentalismi e linguaggi melliflui.
E sempre con sorprendente amore alla verità! Urla contro i ricchi ingiusti, che dimenticano anzi calpestano i poveri: “Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri, sulla montagna di Samaria! (…) Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa (…) bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano” (Amos 6,1 e seguenti).
Anche oggi ci sono quelli che vivono come gli spensierati di Sion e… pretendono di saper risolvere il dramma dei poveri, dei milioni di poveri che crescono sempre più spaventosamente sul nostro pianeta.
Ma quello che vorrei qui sottolineare, in questo momento, è la vocazione di Amos, così come egli la racconta al sacerdote Amasia.
Di fronte alle profezie dolorose, ma vere di Amos, contro il re Geroboamo e il popolo d’Israele, Amasia rimprovera e aggredisce Amos: “Vattene, veggente, ritirati nella Terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare. Ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il Santuario del re e il tempio del regno”. (Amos 7,12 e 13).
Ma Amos risponde: “Non ero profeta, né figlio di profeta, ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Và profetizza al mio popolo Israele” (Amos 7,14).
Neppure io ero un profeta, né figlio di profeti.
Il Signore ha guardato alla mia piccolezza. Si è interessato di me. Non ha avuto paura della mia miseria (come ho scritto nel ricordino della mia ordinazione sacerdotale).
Il Signore ha mandato in frantumi i miei sogni di ragazzo e di adolescente, uguali ai sogni di tanti altri ragazzi e adolescenti. Si è impossessato della mia vita. E anch’io, dunque, come Amos, posso confessare che la mia volontà c’entra poco con la mia storia di prete e di Vescovo.
Ha fatto tutto il Signore.
Di mio rimangono le infedeltà e i tradimenti.
Tornando alla storia di Mosè, abbiamo sentito che il Signore gli dice chiaramente, che egli, Mosè, non entrerà nella Terra Promessa, perché non ha creduto fino in fondo alla Parola del Signore.
Io non ringrazierò mai abbastanza il Signore per tutti i fratelli e sorelle che ho incontrato nella mia missione di prete e di Vescovo, qui a L’Aquila, a Rieti, e poi di nuovo all’Aquila, e per tutto l’affetto che mi hanno sempre mostrato!
(E’ uscito proprio in questi giorni un bel libro pensato e voluto da alcuni amici reatini che narra gli anni del mio breve episcopato a Rieti… E ringrazio questi amici! E anche questa è una grande dimostrazione di affetto!)
Ma ho anche la consapevolezza che se qualcuno ha avanzato critiche su di me, lo ha fatto giustamente. La mia incredulità e le mie infedeltà sono state immensamente più grandi di quelle di Mosè
E quindi… cosa posso pretendere dal Signore? E’ stato fin troppo buono con me. E ringrazio quei fratelli (pochi, in verità, di fronte alla schiera immensa di coloro che mi hanno sempre dimostrato tanto amore), che nella verità (perché ciò che fa veramente male sono le accuse ingiuste e false), con le loro critiche mi hanno ricordato, in questi anni, che sono anch’io un povero peccatore, bisognoso di conversione!
 
5.      E, avviandomi alla conclusione, non posso non ricordare che l’ultimo tratto del mio servizio episcopale, a L’Aquila, è coinciso con la storia piena di lacrime e di sangue del sisma e del dopo sisma.
Ho parlate tante volte, in tutte le sedi e in tutti i modi di questa grande prova.
Con tutta la mia fragilità e i miei limiti, ho cercato di condividere la tragedia degli Aquilani. Ho cercato, soprattutto, di portare conforto e far sentire la vicinanza di Cristo a chi più è rimasto ferito e sconvolto da questa tragedia senza nome.
Oggi vorrei ricordare ancora una volta ciò che mi scrisse, all’indomani del terremoto, un grande vescovo, Alfredo Battisti Arcivescovo di Udine (1925-2012), che si era trovato a vivere la tragedia del terremoto del Friuli.
Mons. Battisti mi ha scritto la sua lettera il 6 Maggio 2009, un mese dopo il nostro terremoto e nel 33° anniversario del terremoto del Friuli. E questo grande pastore mi scriveva tra l’altro: “Oggi 6 Maggio 2009 ricorre il 33° anniversario del terremoto che ha colpito il Friuli nel 1976, con mille morti sotto le macerie e 120.000 senza casa. Oggi si compie anche il primo mese del terremoto che ha colpito L’Aquila, seminando tanta distruzione e morte. Partecipo fraternamente al dolore Suo e del Suo Popolo e assicuro la mia preghiera. Auguro che, come è accaduto in Friuli, questo tempo duro per la Sua Chiesa sia anche un tempo grande per i valori umani e cristiani riscoperti scavando e piangendo tra le macerie. Il Signore Le dia tanto coraggio e speranza, in Cristo Crocifisso e Risorto”.
Carissimi fratelli e sorelle la tragedia del terremoto è stata immensa.
Altri, giustamente, si sono impegnati a ricercare le cause naturali e umani di questa tragedia. E anche le terribili responsabilità…
A noi cristiani, che siamo chiamati a impegnarci generosamente e tenacemente per la ricostruzione, rimane il compito di riscoprire, “scavando e piangendo tra le macerie, i valori umani e cristiani”, che da una così grande prova possono, malgrado tutto, ancora germogliare. Preghiamo ancora una volta, questa sera, per le vittime del sisma, per i loro parenti, per chi ha più responsabilità nell’opera di ricostruzione, ormai non più rinviabile.
Preghiamo perché il Signore ci doni tanto coraggio e tanta speranza.
 
6.      E concludo veramente, ricordando le parole di un grande santo laico: Tommaso More (1477-1535), un ottimo sposo e un amabilissimo padre (si sposò ed ebbe un figlio e tre figlie). Fu Cancelliere alla Corte d’Inghilterra. Scrisse opere sul modo di ben governare e per difendere la religione.
Papa Benedetto XVI lo ha proclamato Modello e Protettore dei politici cristiani. Fu condannato a morte, insieme a Giovanni Fisher, vescovo di Rochester, perché si erano opposti alla questione riguardante il divorzio che il re pretendeva, calpestando la legge di Dio.
La figlia di S. Tommaso More, Margaret, scrivendo alla sua amica Alice Arlengton, racconta momenti bellissimi degli ultimi giorni del padre, mentre era in prigione. Margherita parla soprattutto di come quest’uomo era giunto ad affidarsi totalmente a Dio e alla sua volontà. Volontà che riusciva a vedere in ogni avvenimento. Anche il più doloroso. Diceva S. Tommaso More: “Dubitare di Lui (di Dio), mia piccola Margherita, io non posso e non voglio, sebbene mi senta tanto debole (…). Ho però ferma fiducia, Margherita, e nutro certa speranza che la tenerissima pietà di Dio salverà la mia povera anima e mi concederà di lodare la sua misericordia. Perciò, mia buona figlia, non turbare mai il tuo cuore per alcunché mi possa accadere in questo mondo. Nulla accade che Dio non voglia, ed io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio”.
Stupenda fede dei santi che sanno vedere in tutto la volontà di Dio e il suo infinito amore per noi.
Carissimi fratelli e sorelle, pregate per me, perché sappia fare, soprattutto in questo momento, con gioia e fede grande, tutta la volontà di Dio. Solo in quella volontà c’è la nostra pace.
Io pregherò sempre per voi. Non vi dimenticherò. Il Signore benedica ancora una volta questa nostra amata Chiesa dell’Aquila e tutti voi, insieme a tutte le vostre persone care.
S. Giuseppe, la Madonna del Popolo Aquilano, insieme ai nostri Protettori, aiutino tutti noi. Un abbraccio forte a tutti e un grazie immenso.
Il Signore vi doni sempre tanta pace e tanta speranza.
Amen.
 
 
 
 
                                                                                                                                                   + Giuseppe Molinari
                                                                                                                                                          Arcivescovo
                                                                                                                                   Amministratore Apostolico de L’Aquila