Il Messaggio del Cardinale Petrocchi: “Natale, porta spalancata sulla pace”

La liturgia della Parola, nella Messa della notte di Natale, proclama che per noi è nato un bambino: il suo nome è «Principe della Pace» (Is 9, 5). Anche il coro degli Angeli, che annuncia ai pastori la venuta del Salvatore, canta con gioia: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama» (Lc 2, 13-14).

Vorrei che, in questo tempo liturgico, il tema della pace – nella sua dimensione cristiana e umana – risuonasse spesso nelle nostre assemblee, come pure diventasse un argomento “ritornante” nella riflessione e nelle conversazioni che siamo chiamati a promuovere. Pace, si sa, non vuol dire solo assenza di guerra, ma vita fraterna, personale e comunitaria, animata dalla verità e dall’amore. Siamo pure consapevoli che il peccato punta ad uccidere la pace e suscita egoismi “conduttori” di inimicizie e di violenze. Da questo male, che ci portiamo addosso, non siamo in grado di emanciparci da soli: ecco perché ci fa esultare la “buona notizia” che Dio stesso si è mosso, per venirci incontro e riscattarci da questa “patologia” etica, che attacca la mente, il cuore e i rapporti umani.

Celebrare il Natale significa aprire spazi spirituali, culturali e sociali al Figlio di Dio, fatto uomo nella Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. Lui, dimorando in noi con la Sua Parola e la Sua grazia, ci rende capaci di respingere le logiche inique delle contrapposizioni, per accogliere la fiamma della pace e accenderla nel mondo in cui operiamo.  

La pace che Gesù ci dona – come spiega Papa Francesco – «ti mette in movimento: non ti isola, ti fa andare dagli altri, crea comunità, crea comunicazione. Quella del mondo è costosa, quella di Gesù è gratuita, è un dono del Signore. È feconda, ti porta sempre avanti». La pace del Signore non è a intermittenza: non appare quando siamo gratificati dagli eventi e si spegne quando le cose prendono una cattiva piega. Continua a brillare, come una stella luminosa, anche quando calano le ombre oscure dei problemi, «perché è piena di speranza, cioè guarda il Cielo». 

Chiediamo, al Signore- che-viene, di seminare e far crescere la Sua pace anzitutto “dentro” di noi. Spesso siamo turbati da un malessere insistente e da scontentezze pervasive che si agitano nei pensieri e nei sentimenti: abitualmente ne attribuiamo la causa a persone ostili o ad eventi esterni “sfavorevoli”. Se non siamo capaci di neutralizzare queste letture “risentite” della nostra storia, facilmente veniamo avvolti da rabbia e avvilimento, correnti emotive che inquinano l’esistenza nostra e di quelli che ci stanno vicini. Molti problemi, infatti, si originano negli strati nascosti della nostra interiorità: e vengono innescati dal fatto che pensiamo ed agiamo in contrasto con la nostra “identità” profonda, nell’aspetto spirituale e umano. L’incontro con il Signore, che bussa alla nostra porta (cfr. Ap 3,20-21), ci consente di capire “chi” siamo e cosa siamo chiamati a diventare: se ci muoviamo in sintonia con Dio, diventiamo veri “amici” di noi stessi. Il frutto di questo “accordo” tra la nostra vocazione e gli atti che poniamo, genera la pace, radicata sul terreno evangelico del “bene”, pienamente vissuto e donato… Scarica il pdf per leggere il Messaggio integrale