Omelia Solennità di S. Massimo (10.06.08)

01-07-2008


OMELIA DELL’ARCIVESCOVO


NELLA SOLENNITA’ DI S. MASSIMO


 


 


Chiesa di S. Maria del Suffragio  ‘ 10.06.2008


 


 


(Sap. 3,1-9; 1Gv. 5,1-5; Gv. 12,24-26)


 


 


 



  1. S. Massimo Diacono e Martire, Patrono della città e Arcidiocesi dell’Aquila, è nato ad Aveia (l’odierna Fossa, vicino all’Aquila) nella prima metà del III secolo. Aveia era una città Vestina (nota agli studiosi di antichità). Ricevette la prima educazione alla fede in famiglia, soprattutto dal padre (anch’egli di nome Massimo e anch’egli concluse la sua vita con il martirio).

 



  1. Massimo si distinse subito, nella comunità cristiana di Aveia, per il suo grande amore a Gesù Cristo e per l’entusiasmo con cui annunciava il Vangelo. Entrò a far parte dei diaconi della Chiesa di Aveia. E fu arrestato proprio per la sua aperta e coraggiosa testimonianza del Vangelo. Subì il martirio durante la persecuzione di Decio (249-251), precipitato dall’alto del monte Circolo.

 



  1. Il corpo del martire, venerato anticamente nella sede della Diocesi di Forcona, che fu poi chiamata Civitas Sancti Maximi (l’odierna Civita di Bagno), fu trasferito a L’aquila il giorno 11 giugno 1414 e deposto nella Cripta della Chiesa Cattedrale della nuova città e Diocesi dell’Aquila (sappiamo che in seguito ai vari terremoti che più volte hanno distrutto sia la Cripta che la Cattedrale, il corpo del Santo non è stato più ritrovato!). Qualcuno spera ancora di poterlo ritrovare’

 



  1. Ecco, in brevissime note, la storia del nostro santo che voi tutti già conoscete. Ma, a questo punto, sorge sempre spontanea una domanda:che può dire di nuovo e di importante questo giovane martire cristiano del terzo secolo, nato e vissuto in questa nostra terra agli uomini e alle donne del nostro tempo? E soprattutto ai giovani del nostro tempo? Che senso ha per noi ricordarlo ancora, dopo diciotto secoli, e celebrare la sua festa?

 



  1. Il primo fondamentale messaggio è la bellezza e l’importanza della nostra fede. E soprattutto, come questa nostra fede può dare senso alla nostra vita personale e alla storia nella quale siamo immersi.

Nel Vangelo abbiamo sentito una parola misteriosa e difficile di Gesù, che Massimo ha accolto e vissuto pienamente: ‘Se il chicco di grano caduto in terra non muore, esso rimane solo; se muore porta molto frutto. Chi ama la propria vita la perde e chi odia la propria vita in questo mondo,  la conserverà per la vita eterna’.


Che cosa voleva dire Gesù con queste parole che sfiorano l’assurdo?


Semplificando possiamo dire che ci sono varie visioni della vita e della storia.


Gesù ci propone la sua visione e la sua scala di valori.


Tutto il Vangelo cerca di spiegare questo e tutto l’insegnamento della Chiesa, attraverso i secoli, cerca di interpretare sempre di nuovo le parole di Gesù e di applicarle alla nostra vita.


 



  1. In altre parole: vale la pena fidarci di Gesù, seguirlo, vivere secondo il suo Vangelo?

Ci possiamo fidare? Siamo sicuri che sia proprio questo il modo più bello e pieno per realizzare la nostra vita e il nostro desiderio più profondo di felicità?


Anche S. Pietro, nome di tutti gli altri Apostoli, chiese un giorno a Gesù: ‘Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. Che cosa a noi verrà in cambio? Che cosa ci abbiamo guadagnato?’.


Queste domande se le è poste anche S. Massimo e non ha avuto dubbi nel rispondere con la massima generosità alla chiamata di Cristo. E lo ha seguito fino a dare tutta la sua vita per Gesù Cristo.


 



  1. Nella visione del mondo e nella scala dei valori, che Gesù propone, al primo posto c’è Dio da amare con tutto il cuore e con tutta l’anima. C’è una visione dell’umanità come un popolo che ha un’unica storia, che vuole vivere secondo i valori della fede, dell’amore della giustizia, della fraternità vera. Un’umanità chiamata ad essere un’unica famiglia, un unico popolo che Gesù Cristo ha salvato e redento.

Nelle prime pagine del libro sacro si racconta un fatto singolare: la storia della torre di Babele. Vi si racconta di uomini che hanno preteso di raggiungere Dio a loro modo. Non hanno scoperto questo incontro con Dio come dono. Si sono illusi che potesse esser una loro conquista: ‘Venite, costruiamoci una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome per non disperderci su tutta la terra’ (Gn. 10,4).


E’ la perenne tentazione dell’uomo che vuole essere come Dio, cerca la salvezza in se stesso, con forze proprie, e non come dono che viene dall’alto. Ogni volta che ciò avviene l’uomo sperimenta l’incomunicabilità. Come avvenne, appunto, a Babele. Il racconto della Bibbia non parla soltanto di confusione di lingue, ma anche e, soprattutto, di popoli che si disperdono.


‘Dietro la differenza delle lingue si intravede lo sfascio dell’unità della famiglia umana, la disgregazione, ciascun popolo in un proprio cammino, un popolo contro l’altro. E’ la dispersione e la frantumazione dell’uomo, ognuno alla ricerca di sé e del proprio interesse. Non più il comune riferimento a Dio, alla verità, al bene, nell’edificazione comune, ma ognuno alla forsennata ricerca della propria salvezza.


La bibbia è lucida e sa che l’incomunicabilità non è solo questione di lingua, ma di valori. Non ci si intende più, non perché le lingue sono diverse, ma perché i valori non sono più comuni’. (La rivista del Clero italiano, Editoriale: ‘Babele e Pentecoste’, Maggio 2008, p. 323).


 



  1. Un sociologo cattolico ha scritto recentemente: ‘Uscire dal qui ed ora per vivere il tempo con gli altri, questa è la responsabilità che va restituita a tutti. E’ una strada faticosa ma non evitabile per chi abbia coscienza che occorre rifare le giunture di connessione della  società e che occorre rifarle partendo dal basso, dalle piccole minute r4elazioni e strutture della vita quotidiana (‘) Esiste solo la santa pazienza di fare insieme una migliore qualità di vita collettiva’ (Giuseppe De Rita: ‘La trappola dell’identità’, Il Corriere della sera, 9.06.2008).

Di fronte alla universale tentazione di rinchiuderci in noi stessi, di ripiegarci a noi stessi, di pensare su noi stessi, dimenticando gli altri, la fede in Gesù Cristo ci ricorda che facciamo tutti parte di una grande storia: l’unica vera grande storia della salvezza che Dio scrive ogni giorno. L’unica vera grande storia che Gesù Cristo è venuto a ricostruire con la sua parola e il suo sangue.


 



  1. I martiri e i santi di tutti i tempi hanno capito questo. E si sono donati completamente per la realizzazione di questo meraviglioso progetto.

Anche il giovane Massimo di Aveia.


Di fronte agli idoli del paganesimo, bugiardi e inconsistenti, di fronte alle pretese assolutistiche dell’Impero romano (come sono assurde le pretese assolutistiche di ogni stato di ogni tempo e di ogni continente) Massimo ha scelto Gesù Cristo, la sua libertà, la sua promessa di vera vita. E non si è ingannato. Per questo dopo diciotto secoli, lo ricordiamo ancora. E’ per questo che vogliamo ancora una volta ispirarci al suo esempio e raccomandarci alla sua intercessione.


 



  1. E permettete, carissimi fratelli e sorelle, che questa sera io, insieme a tutti voi, raccomandi al giovane e santo Massimo di Aveia, tutti i nostri giovani. In particolare i circa trentamila giovani universitari che popolano la nostra città.

La Chiesa dell’Aquila è consapevole di trovarsi di fronte ad una sfida grande. Queste migliaia e migliaia di giovani che popolano la nostra città sono una grande risorsa. Ma sono anche per tutta la Chiesa dell’aquila una formidabile provocazione. Facciamo in modo che il loro passaggio in mezzo a noi non sia un evento abbandonato al caso o, peggio, un fatto da sfruttare (spesso in modo non umano e non cristiano) pensando ai possibili benefici della nostra economia.


Io sono certo che  Massimo d’Aveia, questa sera ci parla ancora e ci dice: ‘Cristiani dell’Aquila, accorgetevi di questi giovani che vengono nella vostra città. Accoglieteli, conosceteli, aiutateli, amateli. Fate in modo che portino nel loro cuore un bel ricordo di questi anni trascorsi nella vostra e nostra città!’


 



  1. Voi sapete, carissimi fratelli e sorelle, che proprio oggi la stampa dava come notizia certa la fine di una presenza importante di religiosi nella nostra città, che tanto, in passato, hanno fatto soprattutto per i nostri giovani universitari. La Chiesa dell’Aquila è addolorata per tutto questo. Ma non scoraggiata. Perciò abbiamo deciso di erigere una parrocchia universitaria, con sede nella Chiesa di S. Giuseppe artigiano, in piazza S. Biagio.

Sarà il punto di riferimento per tutti i nostri universitari. A questa parrocchia si collegheranno tutte le iniziative pastorali e culturali  a favore dei giovani universitari.


Raccomandiamo al giovane diacono e martire S. Massimo questo progetto. E preghiamo per questo. Grazie per tutto l’aiuto che darete perché questo progetto si realizzi pienamente.


 


 


+ Giuseppe Molinari


Arcivescovo Metropolita dell’Aquila