Il Presidente della Cei alla Perdonanza: “Gesù ha fatto la “sua” Perdonanza con i fatti”

il testo dell'omelia del Cardinale Bassetti

“Io sono la porta: se uno entra attraverso di me,  

sarà salvo” (Gv 10, 9)

 

Carissimi fratelli e sorelle di questa amata città de L’Aquila e della bellissima terra d’Abruzzo, pace e benedizione dal Signore!

L’immagine centrale della celebrazione odierna, dinanzi alla basilica di Collemaggio, è la “porta”. La porta santa segna l’inizio della “Perdonanza” ma ci indica, soprattutto, la porta vera, quella attraverso la quale ognuno di noi deve e può passare per avere perdono e salvezza: Gesù Cristo. Egli è la porta gloriosa e santa che conduce al Padre, la porta sull’eternità!

 L’anno scorso, tutte le persone che hanno varcato le porte sante aperte nel mondo, durante il Giubileo della Misericordia, hanno potuto sperimentare, come ha detto Papa Francesco, la “perenne e umile regalità di Gesù” e assaporare “la grande bontà del Signore”. [Una felice circostanza ha voluto che Papa Francesco aprisse la prima porta santa del Giubileo della Misericordia a Bangui, in Centrafrica, ove operano da tempo le suore Celestine].

Ringrazio di vero cuore il fratello arcivescovo Mons. Giuseppe Petrocchi per l’invito a presiedere questa solenne celebrazione. Saluto l’arcivescovo emerito Mons. Giuseppe Molinari, l’arcivescovo Mons. Orlando Antonini, tutti i fratelli Vescovi, i sacerdoti, i consacrati, il popolo di Dio e tutti i pellegrini qui convenuti per l’indulgenza plenaria, concessa da Papa Celestino V nel 1294 subito dopo la sua elezione, avvenuta a Perugia, come tutti sapete, il 5 luglio.

Un deferente saluto a tutte le autorità presenti: civili, militari, accademiche; in particolare al Sindaco Pierluigi Biondi, che rappresenta tutta L’Aquila, gelosa custode della secolare tradizione e testimone di fronte al mondo dell’Amore Misericordioso del Signore per tutti gli uomini. Saluto inoltre il Sottosegretario di Stato alla Difesa, On. Domenico Rossi, e il Presidente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso.

Con gioia sono venuto oggi in questa città colpita al cuore dal terremoto del 2009 e in questa Diocesi, nuovamente toccata dal sisma nel 2016. Questa mattina, nel corso di una breve visita nel centro storico, ho potuto vedere di persona le ferite ancora sanguinanti, che provocano un dolore profondo. Il dolore per la perdita dei propri amici e parenti. Il dolore per una città colpita nelle sue strade, nei suoi edifici, nella sua identità. Voglio esprimere con semplicità, ma con sincera partecipazione, la vicinanza di tutta la Chiesa italiana alla popolazione de L’Aquila. E voglio pregare con voi, carissimi fratelli e sorelle, perché questa terra non possa mai perdere la speranza e, soprattutto, possa conoscere presto il giorno della sua completa risurrezione, superando lentezze e incertezze che producono ancora sofferenze.

Alla nostra preghiera associamo le vittime del recentissimo terremoto di Ischia, alle quali non deve mancare tutto il nostro affetto e la nostra concreta solidarietà. Un vivo ricordo anche delle popolazioni terremotate del Lazio e delle Marche che, a Dio piacendo, visiterò nei prossimi giorni, dopo essere stato più volte nella cara città di Norcia.

Davanti a questa magnifica basilica di Collemaggio che sembra esprimere – come ricordò san Giovanni Paolo II – “il senso dell’infinito, il verticalismo della vita, lo splendore di Dio, riflesso nel creato”, vogliamo gettare le nostre sofferenze, i nostri limiti e il nostro peccato nelle mani del Padre per ricevere da Lui pace, perdono e speranza di un tempo nuovo.

San Pietro Celestino, nei lunghi anni di silenziosa meditazione tra i monti dell’Abruzzo, cercò di appagare la sua “ricerca di Dio”. Tra intense preghiere e penitenze, egli volle inebriarsi della Sua luce e meglio capire il senso vero della vita umana: bella, come il cielo azzurro di questa terra; fragile come l’erba dei campi. Quando venne eletto Papa, volle concedere una particolare indulgenza, oggi conosciuta come “La Perdonanza”, perché se ne potessero giovare quanti sono in vita, disposti al pentimento, e anche i defunti, i quali, uniti a noi nella comunione dei santi, beneficiano egualmente dell’Amore di Dio, che vuole tutti gli uomini salvi.

L’indulgenza, il perdono del Signore, ci aiuta a varcare quella porta che Gesù spalanca per noi dall’alto della croce.

Carissimi fratelli e sorelle, nel brano dal Vangelo di Giovanni che abbiamo appena ascoltato si parla di un pastore che ha cura del suo gregge e quindi entra dalla porta giusta. Non è un ladro che entra con l’inganno, e nemmeno uno che pensa solo ad allevare le pecore per sfruttarle, perché ha una relazione con quelle creature che sono “sue”.

Gesù, pastore del suo gregge, dice subito di essere anche la porta delle pecore. San Giovanni Crisostomo commenta: “Quando Gesù si prende cura di noi, chiama se stesso pastore; quando ci conduce al Padre, chiama se stesso porta”. Nel suo ministero pubblico, iniziando dalla città di Cafarnao, ha varcato le soglie di tante porte: è entrato nella sinagoga a pregare, è entrato nella casa di Pietro a incontrare amici e malati. Ha varcato anche l’ultima porta, quella che accomuna tutti gli uomini: la soglia del dolore e della morte. Per aprire quella della Resurrezione nella Gerusalemme celeste, “orizzonte ultimo del cammino del credente” come ricordava Papa Francesco nell’udienza generale del 23 agosto.

Anche noi siamo chiamati ad essere una comunità in “uscita”, che non si ferma sulla soglia. Gesù non ha mancato di aprire le proprie porte, anzi, le ha spalancate, in particolare in due modi.

Il primo modo è la misericordia. Potremmo quasi dire che la porta del paradiso, chiusa a causa della disobbedienza di Adamo, si apre nel momento in cui Gesù perdona i peccati di coloro che si rivolgono a lui, ma soprattutto nel momento in cui Egli muore per i nostri peccati. San Paolo più volte insiste sul fatto che è morto “per” noi, e nel Vangelo di Matteo è scritto che Gesù, durante la sua ultima cena, promise di versare il suo sangue “per la remissione dei peccati” (Mt 26,28). Dio non chiude mai ai figli la porta di casa; come dice Manzoni, “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia”.

Il secondo modo in cui Cristo ha spalancato la porta agli altri è stato quando ha accolto i più bisognosi. Non solo i peccatori, ma gli ammalati e gli esclusi. Pensiamo ai lebbrosi, che allora erano banditi dalla società e non potevano varcare le porte delle città: Gesù, come leggiamo proprio all’inizio del vangelo di Marco, permette loro di essere accolti e integrati. La “Perdonanza”, potremmo dire, che Gesù ha messo in pratica, non si è configurata come una formula esteriore, ma si è attuata nelle opere.

È quanto abbiamo ascoltato nella Prima lettura, dal libro del Profeta Isaia. Il Signore non prescrive particolari digiuni o mortificazioni o atti che potremmo definire formalmente “religiosi”: chiede piuttosto che si divida il pane con l’affamato, si vesta chi è nudo e, di nuovo, si apra la porta ai miseri.

Chiediamo la grazia di poter anche noi vivere la fede non solo a parole, ma seguendo la Parola che abbiamo ascoltato. Cristo, liberatore dai peccati, ci conceda di essere davvero “Chiesa in uscita” e spalancare le porte del cuore, perché possiamo anche noi varcare, insieme ai più poveri, la porta della Sua misericordia.

Nei poveri, infatti, negli “sconfitti dalla vita” e negli scarti della nostra società noi vediamo riflesso il volto di Cristo sulla Croce. E a questo proposito, mi sembra opportuno riaffermare il sacrosanto principio cristiano di salvaguardare sempre l’incalpestabile dignità di ogni persona umana a cui non si può mai negare una cura premurosa e un ricovero dignitoso. Sia che si tratti di cittadini italiani che di migranti. E questa tensione ad andare verso i poveri – come diceva La Pira – non avviene per motivi ideologici ma per un’ispirazione schiettamente evangelica.

Non si deve neppure dimenticare il legame tra pace, misericordia e giustizia, secondo le parole di san Giovanni Paolo II: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono” (XXXV Giornata Mondiale della Pace, 1 gennaio 2002).

Nel tempo della ricostruzione, è bene ricordare le parole di Papa Francesco all’Angelus di ieri: nella Chiesa non mancano le crepe, “ha sempre bisogno di essere riformata, riparata”. E noi stessi siamo le pietre! Nelle mani di Gesù, per opera dello Spirito Santo, “la più piccola pietra diventa preziosa”.

Cari fratelli e sorelle, disponiamoci dunque a varcare questa porta santa, immagine del Salvatore nostro Gesù Cristo. Egli ci attende con cuore di Padre per donarci il Suo Amore e la vita che non conosce tramonto. Amen!