Perdonanza. L’omelia del Card. Feroci: “Sacrificare l’uomo al potere è uno dei peccati più gravi anche nel nostro tempo”

Carissimi fedeli, 

727 sono gli anni trascorsi dalla pubblicazione della Bolla del santo Papa Celestino. Ringrazio il cardinale Giuseppe Petrocchi per avermi voluto qui a presiedere l’Eucarestia dopo la quale apriremo la porta santa della misericordia. Personalmente mi sento particolarmente coinvolto (e immerso in questo dono) perché anche io faccio parte della chiesa aquilana: sono, infatti, nato a Pizzoli. Al fonte battesimale della chiesa di Santo Stefano ho ricevuto il dono della fede, testimoniatami con semplicità dai miei genitori… (mia madre, infatti, è originaria di lì) e con tenacia e con forza da tante persone. Ed è il nostro popolo abruzzese che mi ha insegnato a vivere –  con i piedi ben piantati per terra –  la bellezza e la complessità dell’esistenza.

Prendendo in mano la Bolla celestiniana e scorrendola con attenzione e con fede ho subito avvertito  come sia di una attualità sconcertante. Dice Papa Celestino, che fa questo dono “a coloro che cercano Dio”: costoro “ troveranno Dio attraverso i tesori della Chiesa”.

Presuppone, Papa Celestino, che gli uomini siano cercatori di Dio e cioè persone che sentono ed hanno la coscienza della pochezza dell’uomo e sperimentano la povertà esistenziale della propria vita. Non c’è domani e non c’è futuro senza un orizzonte infinito che è Dio stesso. 

Ma, se avete notato, (e questo è un passaggio di fondamentale importanza) Papa Celestino concede “l’assoluzione dalla colpa e dalla pena a quanti sinceramente pentiti e confessati saranno entrati nella Chiesa di Santa Maria di Collemaggio” e decide che la celebrazione avvenga nella memoria della morte di S. Giovanni Battista.

Particolare…. Non credete? Avrebbe potuto, proprio perché il gesto liturgico avviene in una chiesa mariana, scegliere una delle tante feste di Maria, oppure durante  la festa dell’esaltazione della santa Croce, o degli Apostoli… 

Perché allora ha voluto fare il dono della “Perdonanza” ricordando il Battista, nel giorno della sua decapitazione?

Mi permetto di condividere con voi una suggestione. Forse perché quel gesto, come Papa Celestino scrive, “misteriosamente imposto dall’arbitrio di una donna impudica” lo ha avvertito  come uno dei peccati più gravi e ancora tanto presenti al suo tempo e, noi possiamo dire, anche nel nostro tempo: sacrificare, cioè, l’uomo al potere. Su quel vassoio, la sera del banchetto nella reggia di Erode, dove prima c’era la pietanza per la cena, vi è stata gettata la testa decapitata di un uomo. Di quell’uomo Gesù aveva detto; “  «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento?…In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista”. E’ così orribile? Ma avviene anche oggi! Io e voi non possiamo essere ipocriti: lo sappiamo! Basta aprire gli occhi e guardarsi intorno. Abbiamo la sensazione che le cose, (in Abruzzo si dice “la roba”) siano più importanti dell’uomo, dei rapporti di amicizia e che creano guerre anche intrafamiliari, “anche” all’interno della famiglia e “anche” nella Chiesa.

Papa Celestino, consapevole di questo, nonostante tutto, torna però sul grande tema dell’Incarnazione: “ Dio ha tanto amato il mondo da dare suo figlio”. Riprende, per primo, il tema del Giubileo, attingere ai meriti di Cristo, ai tesori della Chiesa.

Il Papa, illuminato dallo Spirito Santo, ha voluto che noi meditassimo con gioia e con fede che il Padre ha dato il suo Figlio, il suo cuore e lo ha dato a noi uomini, che eravamo peccatori. Peccatori perché il nostro progenitore, che doveva essere, secondo il desiderio di Dio, lo spirito vivificante per l’umanità intera, ha risposto in maniera negativa al comando del Signore. Ha voluto salvare se stesso, ha voluto cercare altri percorsi, ha allontanato il progetto di Dio su di lui e sul mondo.

La Bibbia ci istruisce e ci fa comprendere che Dio, misterioso e misericordioso, ha continuato, però, ad inseguire l’uomo con il suo amore. Non lo ha abbandonato. “Io ci sono” ha rivelato sul monte Sinai: è il suo nome, è il nome-segno-presenza-salvezza. E Gesù, l’Emmanuele , cioè il ‘Dio con noi’, dice ai suoi discepoli prima di ascendere al Padre ‘Io sono con voi fino alla fine del mondo’. 

Dio ha condotto l’uomo a maturare l’esigenza della misericordia, lo ha istruito, gli ha fatto fare percorsi faticosi e veritieri, lo ha aiutato a discernere la sua presenza benevola e costante  orientata al dono totale del divino all’uomo.

E come pedagogia, nel tempo, ha fatto maturare la proposta delle diverse forme di giubileo, spiritualità che è presentata sempre come rinnovo continuo del dono divino di misericordia.

Ecco allora che se l’egoismo degli uomini potrebbe rendere  il Giubileo lettera morta, il Signore stesso non abbandona l’iniziativa e lo rilancia senza sosta. Anzi prepara e poi invia un protagonista per l’attuazione definitiva: Gesù di Nazareth, il Giubileo attuato, “perdonandoci tutti i peccati” come scrive S.Paolo “annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli”.

Solo Gesù può ridarci la comunione piena con Dio, portare la consolazione, la pace, la misericordia-giustizia. Lui è Dio-incarnato! Lui è l’autentico ed effettivo  Dono giubilare del Padre, nella Morte e Resurrezione, con l’effusione dello Spirito. Questa è la sua missione: “Mi ha unto – mi ha inviato”. È la salvezza dai peccati e dalla morte, dal male e dal dolore. Lui è il “nuovo Adamo”, essere vivificante per l’umanità intera.

Il “segno” supremo posto in atto da Gesù – l’Inviato, il Messia – (…io sono la porta delle pecore….se uno entra attraverso di me, sarà salvo….) è “evangelizzare i poveri”, è far comprendere loro/noi che è venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

“Evangelizzare” significa che il Signore sta con i poveri, (la parola povero non è una categoria sociale, ma teologica), sta con coloro che non si sentono autosufficienti, che  si sentono bisognosi; proclama loro il suo amore che non terminerà mai, consegna nelle loro mani il Regno, cosicché chi vuole appartenere al Regno già sulla terra deve convertirsi ai poveri, riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa (Papa Francesco E.G), mettersi al loro servizio, rendere loro l’omaggio che ad essi spetta perché sono gli amati l dal Signore.

L’obiettivo finale del Giubileo, dunque, è ricordare l’opera di Dio. L’amore con cui il Padre desidera sradicare dal “cuore” dell’uomo l’egoismo, l’avidità, lo sfruttamento, l’avarizia, la superbia: ciò che San Paolo definirà “adorazione degli idoli”, tutta quella realtà che si impernia nel grande peccato dell’uomo.

Circa quattro mesi è durato il pontificato di Papa Celestino V. Non ci ha lasciato opere, monumenti… ci ha lasciato il dono centrale della fede…la possibilità di attingere alla misericordia di Dio, in modo speciale in questo giorno, in ogni anno, finché entreremo nella visione di Dio.

Aggiungo e termino. Avvertire il senso e la pesantezza del peccato non è una manifestazione di debolezza, non è poca cosa riservata ai deboli che: ‘poverini vanno sempre in Chiesa’. Condivido con voi una frase di uno scrittore della nostra terra che proprio su Papa Celestino scrive ‘l’avventura di un povero cristiano’: Ignazio Silone. ‘Ho fiducia nell’uomo che accetta il dolore e lo trasforma in coraggio morale’. 

Questa sera noi siamo qui con coraggio per manifestare la nostra riconoscenza, per accedere alla pienezza della grazia in Cristo Gesù “per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito”.

Con l’umile servo di Dio Papa Celestino, allora, avviciniamoci con fiducia al volto perdonante di Dio Padre con una sua preghiera:

POTENTIA DE LU PATRE CONFORTA ME.

SAPIENTIA DE LU FILIU ENSENIA ME.

GRATIA DE LU SPIRITI SANCTU ALLUMINA ME.


K’IO TE POÇA AMARE ET TEMERE ET POÇA FARE LO TUO PLACERE.

MÉ POÇA SPREZARE ET TENERE ME VILE.

E IN REU MORTALE NON POÇA CADIRE.

E LA VITA ETERNA NON POÇA PERDIRE.         

AMEN  Così sia!