‘Cultura.inAbruzzo.it’ intervista D’Ercole

di Nando Giammarini www.cultura.inabruzzo.it

È una tranquilla mattinata dello scorso afoso lunedì 18 luglio; mi reco in Curia per intervistare Monsignor Giovanni D’Ercole, Vescovo Ausiliare dell’Aquila, da venti mesi. Sono le 11.00 in punto allorché da una stanza del primo piano del capannone nella zona industriale che funge da provvisorio palazzo arcivescovile, con la puntualità di un orologio svizzero, appare il presule di origini abruzzesi che con la cortesia che gli è propria mi saluta calorosamente invitandomi ad accomodarmi del suo ufficio. Dalle poche frasi scambiate prima di iniziare l’intervista, come suol dirsi, a microfoni spenti, ho la reale conferma di quanto ho sempre pensato: don Giovanni D’Ercole, ancor prima che uomo di fede e di dialogo, è uomo di verità, coesione ed unità, insomma un vero presule, un pastore volto alla cura delle anime e del suo gregge. Doveroso ricordare, prima di entrare nel vivo nell’intervista, che egli è stato il primo Vescovo che ha celebrato, lo scorso anno, il 17 agosto 2010, la funzione religiosa alla cerimonia di Commemorazione dei Caduti di tutte le guerre, a Cabbia di Montereale (L’Aquila). Per questo, glielo ho ribadito, Cabbia nutre nei suoi confronti ammirazione e gratitudine.
 
1 – Monsignor D’Ercole, era il 14 novembre del 2009, quasi due anni fa, allorché lei fu nominato, da Sua Santità Benedetto XVI, Vescovo Ausiliare dell’Aquila. Un ritorno nella sua terra, essendo lei originario di Morino, un paesino della Provincia. Con una bella lettera di saluto indirizzata all’Arcivescovo, alla comunità, ai fedeli, alle istituzioni tutte, Lei si esprimeva così: “Da oggi questa vostra Arcidiocesi è la mia nuova famiglia”. Indubbiamente un bell’esordio, cosa è cambiato, da quel giorno, nella sua vita e nella Curia Arcivescovile?
Nella mia vita rispetto al passato è cambiato proprio tutto, sono immerso nella vita pastorale. Prima ero in ufficio in Segreteria di Stato, in Vaticano, anche se non ho mai tralasciato l’attività pastorale. Il mio lavoro quotidiano è un continuo noviziato…, bisogna apprendere continuamente il servizio di Vescovo, per essere nella condizione e nello spirito di mettermi al servizio di tutti. Mi sono inserito nella Curia Arcivescovile che è una struttura al servizio della diocesi con le sue possibilità e anche le sue difficoltà. Sai … il terremoto lascia i suoi segni un po’ dappertutto.
2 – Da uomo di pace, di cultura, da giornalista, quindi da grande comunicatore, ancor prima che da uomo di Chiesa, come pensa si possa avviare la ricostruzione della zona rossa della città? Secondo lei, una volta ricostruito l’ambito abitativo è auspicabile la ricostruzione di un tessuto sociale, non privo di difficoltà, che al momento è praticamente inesistente ed uno dei problemi maggiormente sentiti dalla popolazione?
Con il trascorrere dei giorni mi rendo conto che quando si parla di ricostruzione si dovrebbe pensare meno ai mattoni e più agli uomini. Il vero problema della ricostruzione è quello di dare un futuro a questa città dal punto di vista sociale ed economico. A che serve ricostruire case se non si riesce a dare a questa città e a questa Regione un progetto economico e sociale che faccia sì che quanti vi abitano, specialmente i giovani possano avere speranze. Occorre quindi una programmazione, una progettazione vera dove venga tenuto in debita considerazione il fattore umano. Altrimenti qualsiasi ricostruzione non risolverebbe affatto i problemi di questa zona.
3 – Per la conoscenza che ha della città, della sua gente, e dei mille problemi che l’attanagliano è vero a suo avviso che esiste una nuova soglia di povertà e che la mensa dei poveri è a corto di scorte alimentari nonostante il costante impegno dei suoi tanti volontari?
Certo in una simile situazione sono aumentati enormemente i poveri. Io in questo ufficio ricevo quotidianamente persone che piangono situazioni difficilissime. A mio modo di vedere se la povertà sta crescendo in tutto il Paese, e questo è un dato di fatto, ancor più lo si avverte qui dove a problema si aggiunge problema. Diciamo che l’operato dei volontari è di grande altruismo e generosità, riesce a risolvere molto ma non tutto. Circa il problema degli aiuti io credo che non manchino ma cresce continuamente la richiesta, per cui talora risultano insufficienti. Bisogna cercare persone che diano qualcosa, ma soprattutto persone che ascoltino. Molte volte il problema non lo si risolve dando qualcosa ma ascoltando le persone. Ne faccio esperienza personale quando ricevendo le persone mi rendo conto che ascoltarle significa aver risolto almeno la metà dei loro problemi.
4 – Un anno fa fece scalpore il suo richiamo alle autorità in difesa degli aquilani, in cui sosteneva che le stesse non si erano prodigate, lasciando la città sola a fronte dei tanti problemi post-sismici. Oggi, a distanza di un anno da quel vigoroso e sacrosanto intervento, cosa si sente di dire alle tante autorità deputate alla ricostruzione?
Io direi soprattutto un grazie di cuore a coloro che hanno lavorato e bene nella prima fase dell’emergenza. Poi, nella seconda fase, sono nati tutti quei problemi di comunicazione, di difficoltà di intesa che i giornali hanno riportato e riportano costantemente. Anche se, secondo me, vedo gli uomini delle istituzioni più attenti ed operativi di quanto emerga dalla pubblica opinione. Apprezzo il loro lavoro che definisco serio nonostante le tante difficoltà e per questo mi sento di rivolgere loro questo appello: lavorare insieme e comunicare, per spiegare quanto si fa e quello che non si riesce a fare spiegandone i motivi. Insomma più comunicazione e più unità di intenti.
5 – Bello ed apprezzato da tutti il suo gesto di sfidare qualche contestazione, immediatamente rientrata, pur di scendere a spalare le macerie con “il popolo delle carriole” per sentirsi vicino al suo popolo. Cosa le è rimasto di quella splendida esperienza di partecipazione?
Intanto il desiderio e la gioia di far parte di quella gente ha motivato quel gesto, che non era, come dire, eclatante ma un gesto nato spontaneo da condizioni concrete. Non avrei mai pensato potesse avere tanta eco! Anche dopo tanto tempo mi rendo conto che è stato un gesto di cui non rimpiango assolutamente nulla poiché stando lì ho capito quanta sofferenza c’era e continua ad essere nel cuore della gente. Tale realtà riesci a viverla ed a comprenderla solo se stai con loro e ti sporchi le mani con loro. E mi dispiace non poter essere costantemente accanto alle persone e condividere con loro gioie e speranze, difficoltà e amarezze. Poiché compito del pastore è di stare con le sue pecore.
6 – Quali sono secondo lei i settori in cui necessitano maggiore incisività e vicinanza alle persone per ricostruire quel clima di serenità anche familiare di cui tutti hanno bisogno?
Intanto il settore della comunicazione; cioè la capacità di comunicare e far comunicare. Ad esempio, si è lamentata fin dall’inizio la poca aggregazione nei vari progetti C.A.S.E. Non c’è infatti nessun luogo di aggregazione se non le poche “tende amiche” costruite dalla Diocesi. Mancano luoghi di aggregazione dove potersi incontrare, relazionarsi con gli altri ed evitare di chiudersi a riccio in una solitudine che può portare alla depressione. Bisogna assolutamente trovare luoghi fisici dove socializzare. Accanto a questa emergenza, c’è l’attenzione particolare rivolta ai giovani, che sono il nostro futuro. A seconda dell’educazione che siamo in grado di impartire saranno il sole o la tempesta dell’avvenire. Vederli disgregati, sbattuti da una parte all’altra tra pub e discoteche, stringe il cuore. L’altra vera emergenza è il sostegno alle famiglie. È un peccato che, la Finanziaria che è stata fatta questi giorni, invece di colpire i privilegi e le alte sfere della politica, abbia iniziato per punire coloro che a stento arrivano a fine mese. Ancor più ciò si avverte all’Aquila terremotata, in cui tante famiglie sono in difficoltà. E poi aumentano separazioni e divorzi. Quindi una vera e propria disgregazione familiare.
7 – Vorrei usare un’espressione del defunto Cardinale Salvatore Pappalardo – Nunzio Apostolico in Indonesia e, successivamente, Arcivescovo di Palermo – ai funerali del Generale Dalla Chiesa: “Mentre a Roma si discute la città di Sagunto viene espugnata dai nemici”. Così è anche all’Aquila, Monsignore, dove si stanno facendo troppe chiacchiere, tantissima è la burocrazia, e la gente, sfiduciata, non riesce a vedere luce?
Se leggi i giornali questo è il quadro e questa è la considerazione che tutti fanno. Quando vai in giro per l’Italia senti gente che dice: “Ma come! Hanno risolti tutti i problemi, perché state ancora a protestare?”, oppure c’è chi dice: “Il governo in questi anni non ha fatto nulla”. In un caso o nell’altro l’immagine è sempre negativa. Io onestamente non sposerei fino in fondo questa visione, perché se è vero che esistono difficoltà e lentezze burocratiche è vero anche che esiste tanto impegno. Molto è stato fatto e vorrei che questo emergesse per dare una carica positiva a chi si sta impegnando. In città si avverte stanchezza anche delle lamentele. Bisogna essere propositivi per far sì che la ricostruzione non sia solo il lavoro di funzionari e imprese di costruzione, ma di tutta la popolazione.
8 – Eccellenza crede che il sentimento della speranza che da sempre ha animato gli abruzzesi, gente forte e gentile per tradizione, si sia affievolito a partire dal 6 aprile 2009?
Purtroppo debbo dire di sì, questo è costatabile lo dicono le statistiche: sono aumentati i casi di depressione, è aumentata moltissimo la tristezza, anche nei bambini. Questo è un dato di fatto, enfatizzarlo è però come dichiarare sconfitta, invece noi crediamo nella speranza. Siamo dei testardi e crediamo che la speranza non muore mai. Sebbene sia una piccola fiammella può sempre riprendere vita e incendiare il mondo.
9 – Crede, essendo esperto in questo campo, che i tanti mezzi d’informazione a livello locale e nazionale, sia on-line che stampati, stiano facendo bene il loro mestiere di informare la gente o pur di inseguire la notizia, lo scoop a tutti i costi, a volte si abbandonano a notizie che generano ansia e preoccupazione?
Leggendo la stampa, mi fermo soprattutto a quella locale poiché i grandi organi di informazione hanno quasi dimenticato L’Aquila e la ricordano solo per qualche episodio in genere non positivo; ho la percezione che si stiano preoccupando non soltanto di dare informazioni per così dire negative ma anche propositive e utili a tutti. Riferire in negativo, nonostante il sacrosanto diritto di cronaca, non porta a molto. Ben vengano informazioni su fatti positivi come giustamente ha fatto la stampa locale all’inaugurazione della Casa del Volontariato di qualche giorno fa. È un segnale di vita e di speranza. La stampa ha un grande ruolo nell’opera della ricostruzione.
10 – Nella prefazione scritta nel libro del giornalista della redazione aquilana del Messaggero, Angelo De Nicola, “ Il Mito di Celestino” lei parla di Pietro del Morrone come di un mite pericoloso, a cosa è dovuta questa sua affermazione?
Guarda… intanto mite pericoloso è un po’ un’iperbole per presentare Celestino V fuori dagli schemi stereotipi come sempre lo si presenta. Mite lo era sicuramente ma pericoloso nel senso che viene ad infrangere le opinioni stereotipate che molti si fanno di lui, dell’uomo che si faceva guidare e teleguidare, di un debole. Invece ne esce l’immagine di un Santo coraggioso, una persona di grande saggezza che ha accettato il rischio, in un momento particolare della storia, di essere colui che si è fatto carico di una missione sicuramente più grande delle sue spalle. Questo nella mitezza lo ha accettato ma è poi diventato pericoloso per gli assetati di potere perché pensavano di poterlo utilizzare per i loro scopi, ma lui ha avuto così il coraggio di dimettersi aprendo una fase nuova nella storia della Chiesa salvaguardandone l’unità. Questo è stato il suo grande pregio: quello di rinunciare a se stesso, in quanto avrebbe potuto essere un papa di corte, ma non era il suo stile. La sua “pericolosità” è stata nei confronti dei potenti dell’epoca, fuori e dentro la Chiesa.
11- Partendo dal suo stile – carattere e modi di essere e di fare – di uomo e di Vescovo, dedito, a differenza di altri, a sentimenti di unità, di accordo, di pace, cosa ci dice a proposito delle attuali divisioni esistenti nella Curia aquilana?
Penso siano più notizie riportate dai giornalisti che fatti reali. Per esempio, tra me e l’Arcivescovo io non vedo divisioni, stiamo lavorando per la stessa causa. La differenza di personalità, di storie passate, di diversi percorsi di vita, porta ad idee diverse non è poi un problema, ma una ricchezza. Con onestà intellettuale e buon senso tutto si supera. Se una cosa rimpiango di me stesso è quella di non riuscire sempre ad essere fino in fondo uomo di unità e di conciliazione, non solo qui ma in qualsiasi esperienza della mia vita. Ogni giorno mi alzo e dico: “Signore fammi strumento della tua pace, dove c’è odio io porti amore, dove c’è divisione io porti unità”. E’ la preghiera di Francesco.
12– Prima di salutarla, Eccellenza, quale messaggio lancerebbe, a cuore aperto, al popolo aquilano ed a tutti i cittadini del cratere ?
Invito gli aquilani a non mollare ma anche a non adagiarsi. Rimbocchiamoci le maniche e facciamo, come altri hanno fatto, perché il fare aiuta, il parlare lascia il tempo che trova.